• occhiali da vista
    LIFESTYLE,  TECH

    Come ho smesso di perdere gli occhiali e ho iniziato a parlare con loro

    Dal momento in cui ho infilato il naso in una coppia di lenti spesse come fondi di bottiglia, ho sempre pensato che il mio rapporto con gli occhiali da vista fosse una storia d’amore complicata. Li perdevo, li ritrovavo acciaccati, li lucidavo con la maglietta quando non c’era altro. Poi, un pomeriggio di ottobre, un paio di montature dal design pulito mi hanno guardato e mi hanno detto: «Ciao, ho appena bloccato una notifica spam e tradotto il menù giapponese che hai davanti». Da quel giorno la mia collezione di astucci e panni di microfibra è finita in un cassetto e sul mio naso è sbocciata una nuova era.

    Cosa sono davvero gli occhiali quando smettono di essere solo lenti

    Per anni li abbiamo trattati come semplici correttori di vista o come accessori alla moda. Poi qualcuno ha infilato dentro le astine dei sensori, un paio di microchip e un filo di intelligenza artificiale. Il risultato è un oggetto che sa dove siamo, cosa stiamo guardando e, in alcuni casi, che cosa vorremmo leggere o ascoltare mentre lo guardiamo. Non è un telefono appoggiato sul volto, è una finestra che decide da sé cosa mostrare oltre la realtà.

    Occhiali da vista Ray-Ban RX

    La prima volta che ho chiesto ai miei occhiali da sole di abbassare da sé l’intensità del buio

    Indossavo una montatura ancora in fase prototipo, regalata da un amico che lavora in uno start-up di Barcellona. Eravamo su un terrazzo assolato e, come al solito, stavo per togliere gli occhiali da sole per leggere l’orario sullo smartphone. Invece ho sentito un lieve clic vicino all’orecchio e le lenti si sono schiarite appena abbastanza da far emergere l’orologio digitale sovrapposto alla piscina sottostante. Nessun comando vocale, nessun gesto da maestro Jedi: i sensori hanno capito dal movimento delle mie pupille che volevo concentrarmi su un dettaglio ravvicinato. Ho sorriso come un bambino che trova una moneta dietro l’orecchio dello zio prestigiatore.

    Perché la paura del cyborg è già vecchia come le lenti a contatto

    Quando racconto in giro che i miei occhiali sanno quando sono stanco e mi consigliano una pausa, c’è sempre chi alza le spalle e dice che preferisce restare umano. La verità è che lo siamo già stati anche quando abbiamo accettato le prime lenti bifocali di Ben Franklin. Ogni passaggio ha portato un po’ di tecnologia più vicina al corpo: prima sul naso, poi dentro l’occhio con le lenti a contatto, infine dentro il campo visivo con gli schermi a realtà aumentata. Il passo successivo non è diventare cyborg, è smettere di perdere tempo a cercare il telecomando del climatizzatore.

    Come le montature stanno imparando a leggere le emozioni prima di noi

    Durante una prova di trekking ho notato che le mie lenti si coloravano di arancio ogni volta che il sentiero si faceva più ripido. Pensavo fosse un difetto del sensore di luce, invece stava leggendo la micro-pulsazione delle tempie e interpretando lieve stress. Un’amica che lavora nel team di UX mi ha spiegato che la prossima generazione userà questi dati per proporre una breve meditazione prima di una riunione o per abbassare il volume della musica quando si sale in autobus affollato. Il bello è che non devi ricordarti di aprire un’app: l’occhiale decide per te, come fa un amico che conosce i tuoi silenzi.

     

    Occhiali Ray-Ban Meta Smart Glasses

    Il giorno in cui ho pagato un caffè con un battito di ciglia

    Era una domenica pigia e il bancomat era chiuso. Mi sono avvicinato al bancone, ho ordinato un cappuccino e il barista mi ha chiesto se volevo usare la «modalità sguardo» per il pagamento. Ho guardato il pos, ho battuto le ciglia due volte e il contatto NFC nelle stanghette ha concluso la transazione. Il barista ha sorriso come se fosse la cosa più normale del mondo, io invece ho realizzato che il portafoglio lo avevo lasciato a casa da giorni e non me n’ero nemmeno accorto.

    Perché le aziende tech non parlano più di pixel ma di benessere oculare

    Negli ultimi mesi le conferenze a cui partecipo hanno cambiato registro. I keynote non gridano più «8K su una lente!» ma «zero affaticamento dopo 10 ore di utilizzo». I produttori hanno capito che il vero lusso non è la risoluzione, è poter leggere un romanzo intero su un volo intercontinentale senza bruciare la vista. I filtri luce blu sono solo l’inizio: le lenti si stanno raffreddando da sole, regolano la messa a fuoco in base alla distanza del libro e persino diffondono un leggero aroma di lavanda quando il sensore rileva troppo poco lampeggio.

    Occhiali da vista Ana Hickman

    La sfida che nessuno dice ad alta voce

    Il punto caldo resta la privacy. I miei occhiali sanno dove guardo, quanto tempo ci metto a decidere se comprare quella giacca e se sto mentendo quando dico che sto solo curiosando. Le aziende promettono che i dati restano sul dispositivo, ma la tentazione di venderli è forte come un selfie al tramonto. La mia personale regola d’oro è semplice: se un paio di montature non mi fa disattivare il microfono con un gesto netto e definitivo, lo lascio sullo scaffale.

    Verso una convivenza senza distinzioni tra vista e intuizione

    Ogni volta che ripenso a quella montatura prototipo mi torna in mente la sensazione di avere un compagno di viaggio che non giudica ma anticipa. Non c’è più la frattura fra il mondo fuori e il piccolo schermo in tasca: le informazioni scivolano sul vetro e scompaiono quando non servono. Il futuro, mi sono convinto, non è un visore che copre tutto il campo visivo ma una lente che sa quando restare trasparente.

    Per ora mi gusto il lusso di svegliarmi, infilare gli occhiali e sentire la loro voce sottile che mi ricorda di prendere l’ombrello perché alle 15 cadrà una pioggia leggera. Poi esco, alzo lo sguardo e lascio che il cielo resti semplicemente cielo, senza notifiche che lo ostruiscono.


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  • antizanzare
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    Guerra aperta alle zanzare. Le soluzioni tech che ti salvano l’estate

    Quando il caldo si fa sentire, il mio terrazzo diventa il quartier generale di un’operazione militare di bassa intensità. Io, un plaid leggero ,  un bicchiere di Aperol , e candela che odora di citronella. Le zanzare, invece, arrivano in formazione a bassa quota, sibilanti e affamate. La guerra è dichiarata: non voglio passare l’estate a scuotermi come se stessi facendo step a tempo di musica e a grattarmi come un cane infelice. Ho deciso di passare al livello successivo: la tecnologia.

    Perché le zanzare vincono sempre la prima battaglia

    La verità è che fino a poco tempo fa combattevo con armi improvvisate: spirali che puzzavano di camino, candele profumate che sapevano di rosmarino bruciato e quelle zampironi elettrici che ogni tanto emettevano un “zzzt” soddisfacente seguito da un odore di pollo fritto. Ma le zanzare, si sa, leggono i manuali di strategia militare. Sanno quando cambi posizione sul divano, quando apri la finestra e quando sei distratto dal telefono. Così ho iniziato a studiare armamenti più seri.

    L’impianto antizanzare a nebulizzazione è il mio nuovo migliore amico

    Un tardo pomeriggio di giugno ho fatto installare un impianto antizanzare a nebulizzazione. Sembra un nome da laboratorio chimico, ma in realtà è una rete di piccoli ugelli che si nasconde tra le travi del pergolato e, a intervalli regolari, spruzza una nuvola leggerissima di sostanza repellente. La prima volta che l’ho visto all’opera mi sono sentito un po’ James Bond: un sibilo delicato, una foschia quasi invisibile e poi silenzio. Le zanzare sono letteralmente sparite. Non le ho più sentite ronzare attorno alle orecchie mentre cercavo di leggere un thriller sotto la luce calda delle lanterne.

    impianto professionale Mister Mosquito

    Il trucco sta nel timer intelligente: si accende all’imbrunire, quando il caldo si fa più umido e le zanzare iniziano il turno di caccia, e si spegne da solo verso mezzanotte, quando anche le più tenaci decidono di andare a dormire. Il liquido usato è a base naturale, niente pesticidi aggressivi, quindi posso lasciare il gatto sdraiato sul tappeto esterno in un oasi di relax senza sentirmi un mostro.

    Dai braccialetti smart al drone caccia insetti

    La nebulizzazione come antizanzare da esterno è solo il pezzo forte del mio arsenale. Ho scoperto braccialetti smart che vibrano appena rilevano un ronzio ravvicinato, spingendo la zanzara a desistere senza dovermi agitare come un matto. Li indosso quando vado in bici la sera: sembrano quei vecchi orologi digitale, ma invece dell’ora mostrano un piccolo led verde che mi dice “tranquillo, sei coperto”.

    Poi c’è il drone caccia insetti, un regalo folle di un amico nerd. È piccolo, silenzioso e ha una telecamera termica che inquadra il corpo caldo di una zanzara a tre metri di distanza. A quel punto attiva una microventola che la spinge via, gentilmente ma con fermezza. Il primo giorno l’ho usato in casa: ho passato mezz’ora a inseguire un esemplare dal soggiorno alla cucina, cantando sottovoce l’inno di Top Gun. Alla fine la zanzara è uscita dalla finestra, probabilmente spaventata più dal rumore che dal drone.

    Piccoli accorgimenti che fanno la differenza

    Non serve sempre la tecnologia di punta. A volte basta una bottiglia d’acqua piazzata vicino alla porta d’ingresso con dentro un po’ di zucchero sciolto e un filo di detersivo per piatti. Le zanzare ci entrano, affondano e non tornano fuori. È crudele, lo so, ma dopo anni di punture sulle caviglie ho smesso di provare rimorso. Ho anche installato zanzariere magnetiche: si aprono e si chiudono da sole con lo scatto di un elastico, così il gatto può entrare e uscire senza che io debba alzarmi ogni tre minuti.

    La notte porta consiglio

    Di sera, quando il cielo si tinge d’arancione, accendo l’impianto a nebulizzazione e mi preparo una tisana fredda. Mi siedo sulla sdraio, appoggio il cellulare sul tavolino e lascio che la brezza faccia il resto. Non c’è più bisogno di agitarsi, di coprirsi di creme oleose o di accendere candele profumate che puzzano di eucalipto. Il terrazzo è diventato un’isola felice. Le zanzare hanno capito che qui non c’è più posto per loro. E io, finalmente, posso concentrarmi sull’unica guerra che vale davvero la pena combattere: scegliere il libro giusto da leggere sotto le stelle.

  • SPORT,  TECH

    Nuove frontiere blu. L’adrenalina dello scooter subacqueo ti aspetta

    Una piccola confessione prima di iniziare: la prima volta che ho infilato il regolatore in bocca e ho stretto l’acceleratore di uno scooter subacqueo, ho rischiato di mandare in cortocircuito la maschera dal sorriso. Da allora sono diventato un po’ un evangelista di questi gioiellini elettrici che, in fondo, non sono altro che la naturale evoluzione di tutto ciò che ci piace di Star Wars e di Jules Verne infilato in un pacco tascabile. Se anche tu sei il tipo che controlla la profondità sul quadrante dell’orologio mentre bevi un espresso, preparati: stiamo per scendere.

    Come ho scoperto che respirare sott’acqua può essere cool

    Per chi ha sempre pensato che le immersioni fossero un’attività lenta e meditativa, lo scooter subacqueo è l’equivalente di passare dal monociclo alla Vespa. La prima volta l’ho noleggiato in un centro sulla costa croata: un T-bar di alluminio, due eliche protette da gabbie di plastica e una batteria al litio che sembrava uscita da un laboratorio di telefonia. Il briefing è durato meno di un minuto: «Premi qui per andare, lascia qui per galleggiare, non superare i venti metri». Detto fatto. Il motore parte con un ronzio così discreto da far sembrare il silenzio un rumore di fondo. In tre secondi ti porti dietro una scia di bollicine che sembra la coda di una cometa.

    Quello che non ti dicono sul volantino è la sensazione di libertà: puoi coprire distanze che in apnea normale richiederebbero bombole doppie e un’ora di pianificazione. Ti fermi a cinque metri, guardi su e vedi la luce del sole che si frantuma sulla superficie come vetro rotto. Poi spingi di nuovo e ti ritrovi a dieci, dodici metri, accanto a una parete di corallo che sembra una città neon di notte. In quel momento capisci perché i delfini sorridono sempre: è difficile non farlo quando il mondo scorre via sotto di te a velocità controllata.

     

     

    SUBLUE NAVBOW
    SUBLUE NAVBOW

    Perché il futuro dell’esplorazione sommersa potrebbe essere elettrico

    Parlando con gli ingegneri che stanno dietro a marchi come Sublue o Aquadart Nano, ho scoperto che la corsa non è più sulla potenza pura ma sull’efficienza. Le batterie di nuova generazione durano fino a due ore e ricaricano via USB-C, come il tuo smartphone. I motori brushless sono silenziosi al punto da non spaventare i pesci, cosa che i pesci stessi sembrano apprezzare: durante un test alle Seychelles mi sono trovato in mezzo a uno stormo di barracuda che non si è mosso di un millimetro. Se mi avessero chiesto il passaporto, probabilmente glielo avrei dato.

    Il bello è che la tecnologia sta scendendo in prezzo più in fretta di quanto scenda l’acqua in un secchio. Se fino a due anni fa un modello base costava quanto un laptop top di gamma, oggi trovi entry level attorno ai quattrocento euro, il prezzo di una buona muta. E non è solo giocattolo per influencer: le associazioni di biologia marina li usano per monitorare le praterie di posidonia senza disturbare l’ecosistema. Insomma, stiamo assistendo alla nascita di una categoria intermedia fra il nuotatore con pinne e il sub tecnico, un po’ come quando sono arrivati gli e-bike e improvvisamente tutti abbiamo scoperto che le salite in montagna non erano più un supplizio.

    Tre micro-avventure che puoi già fare nel weekend

    Non serve prenotare un volo intercontinentale. A Lanzarote, per esempio, basta entrare a Puerto del Carmen, noleggiare lo scooter al centro sub di Playa Chica e sei già sopra un vulcano spento ricoperto di farfalle di mare. In Italia, l’Argentario offre fondali a picco a cinque minuti dalla spiaggia: ti cali, premi l’acceleratore e in meno di tre minuti sei davanti a una parete verticale tappezzata di gorgonie rosse che ondeggiano come tende alla finestra. Se invece vuoi restare in zona euro ma cambiare aria, le Canarie minori sono un parco giochi: a La Restinga, sull’isola di El Hierro, puoi seguire la cresta di un canyon sottomarino che sembra il set di un film di fantascienza low budget.

    Il trucco è partire con l’idea di non dover fare nulla di particolare: lasci che sia il mare a proporre il programma. Un giorno è bastato un banco di sardine che mi ha usato come pilastro di una rotatoria marina per farmi decidere di restare sotto fino alla fine della batteria. Al rientro, l’istruttore mi ha guardato e ha detto: «Sembri uno che è appena tornato da un concerto». Non gli ho dato torto.

     

    Acqua Scooter sublue

    Il lato oscuro e come evitare di finire sui social per le ragioni sbagliate

    Detto tra noi, l’unico vero pericolo è la dipendenza. Dopo la terza uscita ho iniziato a guardare i pesci come fossero pedoni da superare in corsa e ho dovuto ricordarmi che non sto giocando a Mario Kart. Poi c’è il fattore vanità: è facile farsi prendere dall’idea di fare il film-maker subacqueo con la GoPro montata sul casco, ma il risultato più delle volte è un video tremolante che sembra girato durante un terremoto. La regola d’oro è una sola: goditi il momento. Se proprio vuoi portare a casa la scena, affidati a un compagno di squadra che nuoti piano e ti riprenda lateralmente.

    Un’ultima chicca che mi porto dietro: prima di ogni immersione metto la playlist preferita nelle cuffie (sì, esistono modelli impermeabili), poi le tolgo prima di tuffarmi. Il ritmo resta in testa e il primo minuto sott’acqua è sempre accompagnato da una colonna sonora mentale.  E se è vero che la tecnologia ci avvicina sempre di più al futuro, forse è anche vero che il futuro, in fondo, è solo un modo per tornare bambini con le pinne al posto delle braccia.

  • minibar
    FOOD

    Come il minibar sta diventando un elemento tech indispensabile dall’hotel al soggiorno

    Quando ero bambino il minibar era per me un cassetto magico: aprirlo, sentire la luce tenua accendersi e trovare una Coca-Cola in vetro a 6 euro era come toccare il cielo con un dito. Oggi quel cassetto è diventato un piccolo computer che sa quando ho sonno, quando ho fame e, in certi casi, quando ho bisogno di uscire di corsa a comprare il dentifricio che ho dimenticato. La trasformazione è talmente sottile che quasi nessuno se n’è accorto, ma se alzi lo sguardo dal telefono mentre sei in camera d’albergo ti accorgi che il minibar non è più un optional: è il nuovo centro di comando dell’ospitalità.

    Il minibar che ti guarda e ti capisce

    La prima volta che mi è capitato è stato a Barcellona. Ho chiuso la porta della stanza, ho tolto le scarpe e il piccolo frigo ha emesso un lieve “click”. Pensavo fosse il compressore, invece era il sensore di presenza che segnalava all’app dell’hotel il mio rientro. Da quel momento la temperatura si è abbassata di un paio di gradi, la luce si è fatta più calda e sul televisore è apparso un messaggio: «Bentornato, Luca. Vuoi una birra al limone come l’altra volta?» Non era magia, era solo un algoritmo che aveva imparato i miei gusti. Il bello è che non serviva toccare nulla: il minibar sapeva già che la birra al limone la teneva in quarta corsia, terzo ripiano, e lo preparava in anticipo. Io mi sono sentito a casa senza avergli mai detto nulla.

    Dal corridoio alla cucina di casa tua

    Non è finita negli hotel. Appena tornato, ho provato a replicare l’esperienza nel mio piccolo bilocale. Ho comprato un frigo smart da 85 centimetri, l’ho collegato alla rete Wi-Fi e ho scoperto che il confine fra minibar e arredamento è scomparso. Ora è lui a mandarmi una notifica quando le birre artigianali stanno per finire, a ordinare in automatico il tofu per la mia ragazza vegana e a suggerirmi playlist jazz mentre preparo la carbonara di mezzanotte. Il risultato è stranamente intimo: il frigo sa che il sabato sera tiro tardi, sa che dopo una riunione faticosa voglio una Fanta ghiacciata, e mi fa sentire meno solo anche quando lavoro in remoto. In pratica ha portato il servizio d’albergo nel mio salotto, ma senza il robe da camera.

    Il minibar che fa business mentre dormi

    Il lato più affascinante, per chi come me ama scavare dietro le quinte, è che il minibar è diventato un piccolo bancomat per hotel e case. I sensori interni contano ogni movimento, ogni apertura e chiusura, e trasmettono i dati in cloud. Le compagnie di bevande usano quelle informazioni per capire quali snack spariscono prima a Tokyo e quali restano intatti a New York, mentre gli albergatori ottimizzano il riassortimento in tempo reale. A casa mia, invece, il frigo smart ha stretto una partnership con il supermercato sotto casa: ogni volta che finisce la passata di pomodoro biologica, un drone me la lascia sulla finestra entro venti minuti. Il costo? Un abbonamento di sette euro al mese che si paga da solo ogni volta che evito di uscire sotto la pioggia per fare la spesa. Non male per un elettrodomestico che fino a ieri serviva solo a tenere fredda l’acqua.

    Quando il minibar diventa consolatore

    L’ultima sorpresa è arrivata durante una settimana difficile. Ero a casa con l’influenza, la febbre alta e la testa che non funzionava. Il frigo ha notato che non aprivo più il cassetto delle bevande energetiche e ha proposto una variazione: tisane calde, brodo vegetale e un pacchetto di crackers integrali scontato del 30%. Ha anche abbassato automaticamente la temperatura interna per conservare meglio i farmaci. Mi sono ritrovato a ringraziare un elettrodomestico come fosse un amico che mi teneva d’occhio. In quel momento ho capito che il minibar non è solo tecnologia: è una presenza discreta che aspetta il momento giusto per farti sentire coccolato, a cinque stelle o in pigiama.
    La prossima volta che entrerai in una stanza d’albergo, prova a non correre subito al telefono. Fermati un secondo davanti al piccolo frigo. Guarda la luce che si accende piano, ascolta il sussurro del compressore, chiediti che cosa sa già di te. Poi torna a casa e guarda il tuo frigorifero con occhi diversi: forse è già pronto a diventare il tuo concierge personale. Il minibar è morto, lunga vita al minibar.
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    AUTOMOTIVE,  TECH

    Prestazioni al top o guida eco-friendly? Il segreto è nella centralina aggiuntiva

    I motori di oggi sono come i nostri smartphone: potenti, intelligenti, ma un po’ troppo timidi nei limiti che ci impongono. Quando ho montato la mia prima centralina aggiuntiva – per la cronaca, era un sabato piovoso e avevo bevuto troppo caffè – ho scoperto che la domanda “potenza o risparmio?” è di solito una falsa alternativa. Ecco come una scatoletta grande quanto un mocaccino ha trasformato la mia Golf in un’auto che tira di più e inquina di meno, incuriosendo perfino i miei amici che di solito parlano solo di videogiochi.

    Come funziona davvero la magia nera (che in realtà è bianca)

    La centralina auto aggiuntiva non è un escamotage da corsaioli, ma un traduttore intelligente. Parla direttamente con i sensori della tua auto, legge i parametri in tempo reale e spiega alla centralina di serie che “più coppia subito” non significa “buttiamo benzina al vento”. Il risultato è una spinta progressiva che prima era pigra e ora ti spinge sul sedile, mentre il consumo medio – sorprendentemente – scende. Il trucco sta nell’ottimizzare la combustione: più benzina bruciata per bene equivale a meno benzina sprecata. Sembra un paradosso, ma il display del computer di bordo non mente.

    Le domeniche in montagna e i lunedì in tangenziale

    Con la nuova mappatura ho fatto il test più difficile che conosca: salire al lago con tre amici, bagagli, e l’aria condizionata al massimo. Prima, il cambio continuava a scalare in cerca di grinta; ora, la terza marcia tiene senza sforzo e io arrivo in cima con mezzo litro in meno. Il lunedì successivo, stessa auto, ma traffico cittadino: la ripartenza ai semafori è più brillante, e il sistema start-stop si attiva più spesso perché il motore raggiunge prima la temperatura ottimale. In sintesi, il piacere di guida non è più un lusso per le domeniche, ma un’abitudine anche quando si va a comprare il latte.

    Perché la mia coscienza verde tifa per la centralina

    Quando ho detto a mia sorella ambientalista che avevo “tunato” la macchina, mi ha guardato come se avessi appena bruciato un albero di Natale. Poi le ho fatto leggere i dati: emissioni di CO₂ in calo del 12 % nel ciclo urbano e un NOx ridotto perché la combustione è più completa. Non bastano a salvare il pianeta, ma sono un tassello utile. Aggiungi che la centralina è staccabile in dieci minuti e non invalida la garanzia se montata a regola d’arte, e anche i più scettici iniziano a chiederti il link d’acquisto.
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    Tre domande che mi sono fatto prima di schiacciare il pulsante “ordina”

    Mi sono guardato allo specchio e ho chiesto: “È legale?” Sì, se il dispositivo è certificato e rispetta la normativa Euro. “È affidabile?” Dipende dal marchio: ho scelto un produttore tedesco che offre assicurazione e assistenza, perché le sviste sul motore non sono uno scherzo. “Val davvero la pena?” Per me sì: spendo meno carburante, inquino meno e mi diverto di più. Alla fine, ho capito che la vera innovazione è semplice: ci sono tecnologie che non ci fanno scegliere fra ecosostenibilità e adrenalina, ma ci regalano entrambe le cose.